sabato 3 marzo 2012

Il nemico senza volto

"A me hanno ordinato di dirvi di andarvene da questo podere ed io ve lo sto dicendo". "E io dovrei andarmene dalla mia terra?". "Ma non te la prendere con me, non è colpa mia". "E di chi allora?". "Lo sapete di chi è la terra, della società agricola di Shione". "E chi è la società agricola di Shione?". "Ma non è nessuno, è una società". "Avrà un presidente no?! E lo saprà che così ci condanna a morire di fame!". "Ma non è colpa sua, è la banca che gli dice che cosa deve fare". "E va bene, dov’è la banca?". "A Tulsa. Ma con chi te la prendi, lì c’è soltanto il direttore, che sta impazzendo per fare quello che gli impongono da New York". "Insomma, chi è allora?". "Aah io proprio non lo so. Eh sennò te lo direi, ma proprio non lo so di chi è la colpa".

Di chi è la responsabilità quando il sistema stritola i più deboli?

La citazione con la quale apriamo il post di oggi è tratta dal film "Furore", capolavoro del 1940 diretto da John Ford tratto dall'omonimo romanzo di John Steinbeck. La scena si riferisce al momento dello sfratto della famiglia protagonista del film. A causa della crisi economica del 1929 la società americana entra nel tunnel della recessione e migliaia di piccoli agricoltori vengono privati dei loro terreni trasformandosi in un esercito di senza fissa dimora. Il bianco e nero della pellicola rende ancora più potente ed epica la lotta dei personaggi per sopravvivere ai soprusi e ad una situazione disperata che ricorda i gironi dell'inferno dantesco.

Ciò che mi ha sempre colpito nella scena citata è lo scontro tra due mentalità completamente opposte. Da un lato quella degli agricoltori, abituati al contatto quotidiano con la terra e con le persone, che vorrebbero conoscere con chi hanno il problema e provare insieme a risolverlo. Dall'altro, la spersonalizzazione estrema del sistema economico che toglie ogni dignità all'essere umano. Perfino a quelli che vi lavorano all'interno.

Non vi sono volti, non vi sono nomi. C'è il direttore, ci sono "quelli di New York" ma il meccanismo infernale sembra avere vita propria e nessuno sembra in grado di fermarlo. Le banche, le società, la finanza sono stati creati dall'uomo ma chi è che ne ha il controllo?

Non è dato saperlo.

E non è cambiato molto da allora.

Purtroppo.

lunedì 13 febbraio 2012

La tragedia della porta accanto

"Anche voi italiani finirete come noi. Dovete capirlo. Noi siamo disperati. Non sappiamo più come vivere".

Quando i cittadini greci parlano (e spesso hanno l'aspetto di pensionati che hanno lavorato tutta una vita per ritrovarsi alla fame) si vorrebbe distogliere lo sguardo e il cuore e ripetersi "No, no, noi non finiremo così. Hanno avuto dei governanti sconsiderati e ora ne pagano il prezzo. Noi siamo diversi, noi ce la faremo...". Vogliamo un balsamo che ci intorpidisca mentre la parte più profonda di noi ci sussurra che il peggio deve ancora arrivare.

E' come quando camminiamo per strada o siamo alla stazione e vediamo un mendicante. Fa male. Perché ci ricorda che anche noi potremmo finire così. Basta un divorzio, una malattia cronica, un investimento sbagliato o un semplice passo falso ed ecco che si perdono prima il lavoro, poi la casa e poi la famiglia. E si diventa degli invisibili alla mercé di chiunque.

La Grecia è nostra vicina. Come diceva il sacerdote ortodosso agli scalcagnati militari italiani nel film "Mediterraneo" di Gabriele Salvatores, "Italiani, Greci, una faccia, una razza". Ma noi non vogliamo vedere quello che potrebbe essere anche il nostro futuro.

E invece faremmo bene a tenere gli occhi ben aperti. Soprattutto in seconda serata, quando piccoli frammenti di verità e di buon senso emergono dal muro di gomma dei media e restituiscono chiarezza ai tanti discorsi nebbiosi e ripetitivi sulla necessità di fare sacrifici di cui sono inondate radio e televisioni.

Guardate questo filmato in cui l'economista Lidia Undieni intervistata da Linea Notte spiega in termini chiari la vera natura del cosiddetto "fondo salva-Stati" e il perché le politiche economiche di Obama e di Monti siano inevitabilmente destinate al fallimento.

Avete capito come stanno le cose?

Cari media del mio disgraziato e bellissimo paese, avete un bel ripetermi che supereremo la crisi semplicemente stringendo tutti la cinghia. Se qui si stesse parlando della cinghia dei pantaloni, di una "cura dimagrante" dopo anni di bagordi (ma chi li ha mai visti questi bagordi?!) potrei pure capire e mettermi l'anima in pace. Ma la verità è che qui si sta cercando di far passare per cinghia dei pantaloni quello che invece altri non è che un bel cappio.

Questa non è austerity, questa è dittatura economica.

Che si abbia almeno il coraggio di chiamare le cose con il loro nome!

sabato 7 gennaio 2012

Il barista. L'uomo. Il cinese.

Dall'orrore al giallo. Papà e figlioletta uccisi a Roma con un solo colpo di pistola a pochi metri dalla madre, tuttora ricoverata in ospedale. Una rapina anomala, con molti punti oscuri. Tutta la città attende che sia fatta giustizia al più presto. Perché i bambini non si toccano. E neanche le famiglie. Ma c'è qualcosa di strano in questa storia e sono in molti a sentirlo. Chissà cosa verrà fuori e quando.

Dopo aver ascoltato innumerevoli telegiornali e notiziari che hanno riportato la notizia, mi sono resa conto all'improvviso della difficoltà dei media di usare il nome delle vittime.
"Il barista cinese..."
"L'uomo cinese..."
"Il commerciante cinese..."
La piccola è sempre "la figlioletta" o "la bambina"
Tutti i servizi iniziano più o meno così. I primi andati in onda nei tg non riportavano neanche i nomi, che ora invece sono nominati a metà o a fine servizio. Forse via via che si parlerà del caso sarà più semplice iniziare dicendo "L'uccisione di Zeng Zhou e di sua figlia Joy"?
Forse.
Sarà perché sono nomi stranieri. Chissà.
Ma c'è anche di peggio.
Stasera in zona Romanina un uomo è morto bruciato nella capanna di canne che si era costruito per ripararsi dal freddo. Non è il primo. Non sarà (purtroppo) l'ultimo, visti i tempi di crisi economica che si stanno preparando.
Non sapremo mai il suo nome. E' solo uno dei tanti. Un Nessuno, con l'unica colpa di aver cercato di sopravvivere all'inverno.
Data la notizia con tono serio, lo speaker passa ad altro. Altre news richiedono di essere riferite e portate all'attenzione dell'opinione pubblica.
Fa forse una qualche differenza dire come si chiamasse la vittima? Che cosa può dirci in fondo un nome?

Le morti non sono tutte uguali. Non per l'informazione. Non per le nostre coscienze.

La Città Eterna sta diventando davvero fredda e crudele.

martedì 3 gennaio 2012

Chemio o non chemio?

Questa è la penosa domanda che si trovano ad affrontare quasi tutti i malati di tumore. E il nostro paese è davvero come un malato pieno di metastasi che non sa più a che medico affidarsi per guarire.

Il professor Monti ha sottoposto l'Italia ad una "cura da cavallo" e la verità è che il rimedio stesso potrebbe stroncarla. Come certe chemio che, date in dosi massicce, finiscono per provocare la morte del paziente per ictus. La terapia alternativa, la "Di Bella" adottata con succcesso dall'Islanda, che ha scelto di cambiare le regole e di mettere i cittadini al primo posto rispetto agli interessi di multinazionali e finanziarie, non viene neanche presa in considerazione. Là i responsabili della crisi vengono messi in galera. Da noi in galera ci finiscono solo i poveracci. Un mondo al rovescio.

Intanto, questa chemio da lacrime e sangue non è ancora riuscita a far scendere la febbre dello spread. E i medici nei loro camici bianchi continuano con le loro vuote rassicurazioni.

giovedì 24 novembre 2011

Genova chiama Saponara

Ancora morti. Ancora la stessa storia che si ripete in un penoso dejavu mediatico.

Il tam tam dei Tg stavolta inonda le nostre case con lo spaventoso filmato amatoriale girato da persone che dalle loro finestre assistono terrorizzate al muro d'acqua e fango che spazza via macchine, cassonetti e persone inermi. Le loro urla impotenti e disperate stringono il cuore. Ma solo delle persone comuni, evidentemente. Perché chi dovrebbe fare qualcosa invece non si muove.

Sul Quotidiano di Sicilia si legge che Giampilieri sta ancora aspettando i fondi per la messa in sicurezza del territorio dopo l'alluvione del 1 ottobre 2009. I riflettori su Genova si sono spenti da diversi giorni.

Com'era prevedibile.

Evidentemente non basta ancora. Non si è ancora toccato il fondo della vergogna. La forza dell'acqua e del fango è spaventosa e riesce a spazzar via di tutto, ma non l'immobilismo colpevole e menefreghista di tanti sindaci, giunte, politici e amministratori.

domenica 6 novembre 2011

Io mi ricordo, sì mi ricordo...

Metà degli anni Ottanta. Dai finestrini dell'autobus leggo un enorme striscione a caratteri cubitali appeso al muro nei pressi di Largo di Santa Susanna, a Roma. Non posso citare perfettamente le parole esatte, ma il messaggio era più o meno questo:

"Il nostro dipartimento è stato costretto a chiudere. Chi difenderà il territorio italiano dal rischio idrogeologico?".

Oggi lo sappiamo. La risposta era: nessuno.

Ricordo, qualche anno fa, una pubblicità di MTV che invitava a riflettere sui cambiamenti climatici in atto nel nostro pianeta. Una teenager chiacchiera spensierata al cellulare con un'amica. La sua cameretta inizia ad essere invasa dall'acqua ma lei invece di fare qualcosa continua a parlare come se nulla fosse. Sale sui mobili, sempre più in alto, finché l'acqua arriva al soffitto e tutto viene sommerso. Cellulare compreso. Lo slogan dello spot era (più o meno): "Se non ti interessi ai problemi del tuo pianeta, prima o poi questi si interesserenno a te".

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In questo inverno 2011 abbiamo dovuto prendere atto che anche nelle nostre grandi e belle città si può morire travolti da un'ondata di acqua e fango, come nei paesi più poveri del Terzo Mondo.

Non possiamo dire di non essere stati avvisati.

Gli italiani conoscono le tragedie del Vajont, di Sarno e tutte quelle accadute negli ultimi anni in varie parti d'Italia. La moderna televisione del dolore non ci consente di ignorarle perché scava nell'orrore come escamotage per incollare gli spettatori al piccolo schermo. Ma tiene i riflettori accesi solo finché la notizia tiene, poi su tutto cala il silenzio. Fino alla prossima tragedia.

I cittadini genovesi residenti nelle aree rimaste allagate avevano paura. Hanno ripetutamente denunciato il rischio idrogeologico alle autorità competenti cercando di interessarle al problema ma nessuno li ha ascoltati. Così, quelli che non hanno potuto o voluto trasferirsi si sono rassegnati a vivere accanto ad una bomba ad orologeria e chi si è salvato ha perso tutto.

Qualcuno dovrà rispondere di questo colpevole silenzio. Altrimenti quelle morti non saranno le ultime.

Quante tragedie ci vogliono ancora per smuovere le coscienze di sindaci, amministratori e classe politica in generale?